martedì 29 luglio 2014

Fare Memoria: Rocco Chinnici, Mario Trapassi, Salvatore Bartolotta, Stefano Li Sacchi,

Quando la mafia uccideva d'estate: 29 luglio 1983. Un auto imbottita di esplosivo viene piazzata in via Pipitone Federico a Palermo, dinanzi all'abitazione del giudice Rocco Chinnici.  
da sinistra: Rocco Chinnici, Giovanni falcone, Ninni Cassara
il detonatore dell'esplosivo viene azionato quando  il giudice Chinnici compare sull'ingresso del portone.
Nella strage, oltre al giudice  vengono uccisi   il maresciallo dei Carabinieri Mario Trapassi e l'appuntato Salvatore Bartolotta e Stefano Li Sacchi,  il portiere dello stabile nel quale il giudice abitava,
Col giudice Rocco Chinnici, Procuratore Capo della Procura di Palermo, cambia l'atteggiamento tenuto sino ad allora da larga parte dalla magistratura siciliana nei confronti di "cosa nostra": sembrano lontane le dichiarazioni ufficiali nei quali si affermava che la mafia non esiste. Accanto a Chinnici alla Procura di palermo lavoravano due giovani, promettenti collaboratori. Paolo Borsellino e Giovanni Falcone.
L'efficacia del lavoro svolto attraverso la sua direzione è testimoniata da una dichiarazione dell'epoca dello stesso Rocco Chinnici: "Un mio orgoglio particolare è la dichiarazione degli americani secondo cui l'Ufficio Istruzione di Palermo è diventato il centro pilota della lotta antimafia, un  esempio per le altre magistrature".
Ma la risposta violenta di cosa nostra aveva già provocato le prime cosiddette "vittime eccellenti". 
A tale proposito così ebbe a dire Rocco Chinnici: "(...) anche se cammino con la scorta, so che possono colpirmi in ogni momento. Spero che, se dovesse accadere, non succeda nulla agli uomini della mia scorta. per un magistrato come me è normale consdiderarsi nel mirino delle cosche mafiose. Ma questo non mpedisce, nè a me nè ad altri giudici, d continuare a lavorare". 

"Senza una nuova coscienza, noi, da soli, non ce la faremo mai"

Rocco Chinnici
la strage

lunedì 28 luglio 2014

Non dobbiamo dimenticare: Strage di via Palestro a Milano; assassinio di Beppe Montana

Dal blog "Io non dimentico": Non una parola nei vari TG riguardo i tragici anniversari delle stragi/attentati di Via Palestro (MI), di San Giorgio al Velabro e San Giovanni in Laterano (Roma) occorsi tra il 27/28 luglio 1993... Eventi criminosi ancora oggetto di indagine. 
Ecco perché il silenzio? Forse. O forse i motivi sono  altri!
Non una parola per ricordare Rita Atria, preziosa testimone di giustizia che, non ancora maggiorenne, decise di farla finita con questa vita in seguito alla Strage di Via D'Amelio.
Beppe Montana
Non una parola per ricordare Beppe Montana, abile funzionario della Squadra Mobile di Palermo, ucciso il 28 luglio 1985. Non una parola!!! Proprio dopo l'uccisione di Chinnici, Montana aveva dichiarato:« A Palermo siamo poco più d'una decina a costituire un reale pericolo per la mafia. E i loro killer ci conoscono tutti. Siamo bersagli facili, purtroppo. E se i mafiosi decidono di ammazzarci possono farlo senza difficoltà"







Un Paese senza memoria è un Paese destinato a decadere, perché mai potrà crescere, mai potrà capire, mai potrà apprezzare i valori per cui vale la pena vivereMeglio parlare della nave... del ciclismo... della prova costume... del meteo bizzarro... di pseudo-riforme costituzionali...
Fare memoria è necessario. Ancor più necessario in un paese che a distanza di decenni non conosce gli autori delle stragi che hanno insanguinato questo paese. Il procuratore di Caltanissetta Roberto Scarpinato ebbe a dire: " Sono un centinaio le persone che nascondono i segreti delle stragi di stampo mafioso dell’inizio degli anni Novanta. (...)“La storia insegna che quando un segreto dura nel tempo, sebbene condiviso da decine e decine di persone,  è il segno che su quel segreto è imposto il sigillo del Potere”.

La strage di Via Palestro a Milano. 
La notte del 27/28 luglio 1993 una bomba viene fatta esplodere. Muoiono i vigili del fuoco Carlo Lacatena, Sergio Pasotto e Stefano Picerno, il vigile urbano Alessandro Ferrari e Driss Moussafir, un immigrato che dormiva su una panchina. 
L'ennesima strage italiana, ancora ignoti e nascosti i mandanti.
L'ennesimo scempio di vite umane, l'ennesimo scempio di giustizia.

Fonte: LA Repubblica 27 luglio 2013

Via Palestro, la notte dell'orrore.
E dopo vent'anni nessuna verità

Il 27 luglio del 1993 a Milano l'attentato in cui persero la vita i vigili del fuoco Carlo Lacatena, Sergio Pasotto e Stefano Picerno, il vigile Alessandro Ferrari e Driss Moussafir, un immigrato che dormiva su una panchina. Dicono che su quella strage è sceso l'oblio: purtroppo no, è scesa la confusione all'italiana



Faceva caldo, quel luglio. E faceva 'caldo' in tutti i sensi. Gabriele Cagliari Raul Gardini morti entrambi, uno in carcere, l’altro a casa sua. Cancellati i protagonisti dello scandalo Montedison, il boiardo pubblico e il 'pirata' del capitalismo privato. L’inchiesta Mani Pulite che procedeva con i suoi arresti, le confessioni a centinaia. E all’inizio dell’anno, a gennaio 1993, c’era stata la cattura, dopo una vita da latitante, di Totò Riina, grazie all’allora 'capitano Ultimo'. Il quale a Milano, anni prima, aveva messo in ginocchio un clan di Cosa Nostra con l’inchiesta Duomo connection, che era stata coordinata da Ilda Boccassini, che a sua volta era in Sicilia, a indagare sulle stragi dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, sulle autobombe scoppiate l’anno precedente a Capaci e in via D’Amelio.







Faceva caldo, in tutti i sensi, quella notte di luglio, quando in molte case tremarono i vetri, gli allarmi suonarono, i telefoni squillarono, quando via Palestro diventò una torcia. Allora, a differenza di oggi, non c’era così tanto rispetto per qualsiasi luogo del crimine. Avevo lasciato la moto accanto al benzinaio dei Giardini e m’ero precipitato il più vicino possibile al riverbero, quando inciampai negli stivali di un pompiere morto. «Ma non vedi dove vai!», mi urlò un suo collega, ma no, in effetti, no: vedevo e non vedevo. Così come oggi: sono passati vent’anni, è un po’ come allora, vediamo e non vediamo, sappiamo e non sappiamo. L’hanno sottolineato anche i giudici di Firenze, che questa, di tutte le stragi di mafia di quel periodo, è la più «oscura». 
In quella sera afosa e puzzolente l’esplosione aveva trasformato la strada in un tappeto autunnale di foglie. Gli alberi spezzati e ardenti, non lontano dalla tubatura del gas che alimentava fiamme incessanti raccontavano che i morti — ci perdonino i loro familiari — avrebbero potuto essere di più, rispetto al cratere, ai muri diroccati, ai pezzi di motore dell’autobomba entrati nelle case intorno, sfondando tetti e finestre. Una strage feroce: ma l’ora dello scoppio — le 23.15 — era diventata da subito anche l’ora delle domande. Dopo la bomba di Firenze, piazzata il 27 maggio 1993 sotto la torre dei Georgofili, si diceva: «Toccherà a Milano, ci aspettiamo un attentato a Milano».


Un mese esatto, eccolo. Un’autopattuglia dei vigili, “Monza 3”, viene mandata a verificare la segnalazione di un cittadino, «fumo da una macchina». Il fumo c’è, si chiamano i vigili del fuoco da via Benedetto Marcello. Procedura standard e un camper di turisti tedeschi, genitori e tre figli, viene mandato via appena in tempo. Se i morti sono pochi, è perché quelli che sono morti si sono sacrificati per gli altri. «Via via!», «Una bomba!». Il terrorismo religioso si esercita nel nome di un molto presunto dio combattente. Il terrorismo politico quasi sempre si annuncia e si spiega con le rivendicazioni. Il terrorismo mafioso è il frutto guasto di anni guasti. C’erano le stragi mafiose (Portella della Ginestra), c’erano gli attentati mafiosi contro rappresentanti dello Stato e «nemici» vari, da Boris Giuliano a Rosario Livatino, dal procuratore Costa alla mattanza (1983) di via Federico Pipitone, in cui il vero padre del pool antimafia, Rocco Chinnici, due carabinieri e il portinaio dello stabile persero la vita. Ma sino alla stagione di Totò Riina non era dato per esistente il terrorismo mafioso. Nasce sotto Tangentopoli: non prima, e non ci sarà dopo.

Anche per questo la bomba di quel 1993 è come se non avesse mai finito di ammazzare. Quella notte, e così per gli anni successivi, quando qualche arresto c’è stato, quando gli ergastoli sono fioccati, aleggiava e resiste ancora la domanda «milanese» più ovvia: ma perché proprio davanti al padiglione d’arte contemporanea? Ma che c’entra? Chi l’ha suggerito, come obiettivo strategico? Faceva caldo anche il giorno dopo. Le fiamme erano spente, ma nell’odore di guerra e morte, era come se gli atomi di polvere non si fossero posati. Bisognava tornare a casa e cambiarsi la camicia. Bisognava lavarsi i capelli, bisognava cercare qualcuno con cui parlare della bomba mafiosa di Milano. Poi i funerali, le polemiche, le lacrime, i discorsi, nessuno memorabile. In compagnia di quei morti che non trovano pace, siamo arrivati a una piccola svolta due anni fa, appena due anni fa: Gaspare Spatuzza, ultimo pentito di mafia, ha detto che la bomba non sarebbe dovuta scoppiare in via Palestro, ma «sotto al palazzo dei giornali». Vero o falso non sappiamo, ma più logico sì: certamente più logico.



Roma, attentati ai monumenti sacri. Firenze, attentato alla città antica e turistica. Milano, attentato al mondo dei mass media. Milano fu l’ultima tappa. In effetti, lo stragismo mafioso s’è chiuso in via Palestro: quella sera afosa chissà se sono inciampato senza volerlo negli stivali di Carlo Lacatena, Stefano Picerno, Sergio Pasotto. Morti i tre pompieri, insieme con il vigile Alessandro Ferrari, il primo che ha bloccato via Palestro, che s’è sacrificato ed è stato portato via dall’onda d’urto per venticinque metri. Il corpo era finito nel parco, e là c’era pure Driss Moussafir, che aveva per letto una panchina. Molti dicono che su via Palestro «è sceso l’oblio»: magari lo fosse, non è così, è scesa la confusione. Quella confusione politica, giornalistica, mentale che tutto oscura: quella polvere italiana che non si posa mai e sa nascondere i nostri peggiori assassini.



domenica 27 luglio 2014

"La mafia uccide solo d'estate"

Vi invitiamo!
Pinerolo  28 luglio 2014, ore 21.00 "Area Spettacoli Corelli" via Dante Alighieri n. 9 

 "La mafia uccide solo d'estate" 

la proiezione del film avviene nell'ambito del programma 2014 di "Cinema in Piazza".



Un film per riflettere e fare memoria, anche con un sorriso, su fatti che sono parte della storia più drammatica e oscura del nostro paese. Tante vittime innocenti sono state uccise dalle mafie proprio nel periodo che -soprattutto per noi italiani- rappresentava la spensieratezza e la gioia di vivere . Non fu "per caso" che questo avvenne.

Il Fatto Quotidiano"Perché si può parlare di mafia, anche con un sorriso. E’ con il sorriso infatti che Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, racconta le stragi mafiose che sconvolsero la Sicilia tra gli anni ’70 e ’90 attraverso gli occhi di un bambino, Arturo, che nasce e cresce a Palermo. Partendo dalla strage di Viale Lazio del 1969, Pif unisce elementi di finzione a immagini di repertorio e racconta l’omicidio del generale Dalla Chiesa, di Boris Giuliano, di Pio La Torre e Rocco Chinnici fino ad arrivare alle bombe di Capaci e di via D’Amelio del 1992. (...)". 



sabato 26 luglio 2014

Rita Atria: " (...) la mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci.

 RITA  ATRIA. 
TESTIMONE DI GIUSTIZIA

"(...) Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c'è nel giro dei tuoi amici; la mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci. (...)"

Rita Atria incarna uno dei simboli più belli della speranza in un "cambiamento possibile".



Rita Atria  è nata il  4 settembre 1974 a Partanna, in provincia di Trapani, figlia di Vito Atria, un boss della mafia locale. Rita ha solo 17 anni quando, dopo l’uccisione del padre e del fratello Nicola, nel novembre del 1991 decide di seguire l’esempio della cognata, Piera Aiello, denunciando i segreti che le erano stati confidati dallo stesso Nicola. 
Nasce così il particolare rapporto di fiducia col Procuratore della Repubblica di Marsala, il giudice Paolo Borsellino il quale, per Piera e Rita, diventerà lo “zio Paolo”. Sarà Paolo Borsellino a far trasferire Rita e Piera Aiello a Roma, sotto falsa identità, per meglio proteggerle dalla vendetta dalle cosche.
 Il giorno dopo la strage di via D'Amelio, Rita scrive nel suo diario nel diario le parole che costituiscono il suo testamento spirituale, parole che da allora -come abbiamo spesso detto- si impongono alla riflessione di ognuno:
  "(…)Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita …Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c'è nel giro dei tuoi amici; la mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci. Borsellino sei morto per ciò in cui credevi, ma io senza di te sono morta. " 
Nonostante l'affetto e la vicinanza di Piera Aiello, con Paolo Borsellino muore anche “la speranza" del cambiamento possibile che Rita Atria aveva riposto nel giudice. "Un'altra delle mie stelle è volata via., me l'hanno strappata dal cuore". Queste sono le parole che Rita confiderà singhiozzando a Piera, dopo aver appreso della morte del giudice e degli agenti della sua scorta, le parole riportate dal Piera Aiello nel suo libro "Maledetta mafia"
Sabato 25 luglio 1992. Rita aveva deciso di restare a Roma e non seguire Piera Aiello che ha bisogno di andare in Sicilia: tornare per rivedere la madre e cercare di attenuare in qualche modo l'angoscia della morte dello "zio paolo". All'aereoporto, improvvisamente Rita dice a Piera:  "Io non parto". 
E' il pomeriggio del 26 luglio 1992, la domenica successiva alla strage di via D'Amelio. 
Rita è sola in casa, nell'appartamento di Roma,al settimo piano, nel quale vive "in segreto" insieme a Piera Aiello. Erano state rasferite là, in Via Amelia, subito dopo l'uccisione di Paolo Borsellino. Via Amelia: quant' è simile quel nome a via Via D'Amelio..
In quel pomeriggio di luglio forse Rita osserva la luce che le arriva dalla finestra; forse ascolta il silenzio e i rumori di Via Amelia in quelle calde ore d'estate. Ma quella luce e quei rumori per Rita non hanno più il colore della vita. 
Forse Rita si avvicina a piccoli passi alla finestra del suo appartamento, al settimo piano. 
E decide di lasciare a noi il ricordo della sua vita. 
E' il pomeriggio del 26 luglio 1992


Tema di maturità di Rita Atria ( 1992)

Titolo
"La morte del giudice Falcone ripropone in termini drammatici il problema della mafia. Il candidato esprima le sue idee sul fenomeno e sui possibili rimedi per eliminare tale piaga".

Svolgimento

"La morte di una qualsiasi altra persona sarebbe apparsa scontata davanti ai nostri occhi, saremmo rimasti quasi impassibili davanti a quel fenomeno naturale che è la morte del giudice Falcone, per chi aveva riposto in lui fiducia, speranza, la speranza di un mondo nuovo, pulito, onesto, era un esempio di grandissimo coraggio, un esempio da seguire. Con lui è morta l'immagine dell'uomo che combatteva con armi lecite contro chi ti colpisce alle spalle, ti pugnala e ne è fiero. 
Mi chiedo per quanto tempo ancora si parlerà della sua morte, forse un mese, un anno, ma in tutto questo tempo solo pochi avranno la forza di continuare a lottare. Giudici, magistrati, collaboratori della giustizia, pentiti di mafia, oggi più che mai hanno paura, perché sentono dentro di essi che nessuno potrà proteggerli, nessuno se parlano troppo potrà salvarli da qualcosa che chiamano mafia.
 Ma in verità dovranno proteggersi unicamente dai loro amici: onorevoli, avvocati, magistrati, uomini e donne che agli occhi altrui hanno un'immagine di alto prestigio sociale e che mai nessuno riuscirà a smascherare. Ascoltiamo, vediamo, facciamo ciò che ci comandano, alcuni per soldi, altri per paura, magari perché tuo padre volgarmente parlando è un boss e tu come lui sarai il capo di una grande organizzazione, il capo di uomini che basterà che tu schiocchi un dito e faranno ciò che vorrai.
Ti serviranno, ti aiuteranno a fare soldi senza tener conto di nulla e di niente, non esiste in loro cuore, e tanto meno anima. La loro vera madre è la mafia, un modo di essere comprensibile a pochi. Ecco, con la morte di Falcone quegli uomini ci hanno voluto dire che loro vinceranno sempre, che sono i più forti, che hanno il potere di uccidere chiunque. Un segnale che è arrivato frastornante e pauroso. 
I primi effetti si stanno facendo vedere immediatamente, i primi pentiti ritireranno le loro dichiarazioni, c'e chi ha paura come Contorno, che accusa la giustizia di dargli poca protezione. Ma cosa possono fare ministri, polizia, carabinieri? Se domandi protezione, te la danno, ma ti accorgi che non hanno mezzi per rassicurare la tua incolumità, manca personale, mancano macchine blindate, mancano le leggi che ti assicurino che nessuno scoprirà dove sei. Non possono darti un'altra identità, scappi dalla mafia che ha tutto ciò che vuole, per rifugiarti nella giustizia che non ha le armi per lottare.

L'unica speranza è non arrendersi mai. Finché giudici come Falcone, Paolo Borsellino e tanti come loro vivranno, non bisogna arrendersi mai, e la giustizia e la verità vivrà contro tutto e tutti. L'unico sistema per eliminare tale piaga è rendere coscienti i ragazzi che vivono tra la mafia che al di fuori c'è un altro mondo fatto di cose semplici, ma belle, di purezza, un mondo dove sei trattato per ciò che sei, non perché sei figlio di questa o di quella persona, o perché hai pagato un pizzo per farti fare quel favore.
Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare. Forse se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo.
Rita Atria
Erice 5 giugno 1992

martedì 22 luglio 2014

FIACCOLATA CONTRO TUTTE LE GUERRE

FIACCOLATA CONTRO TUTTE LE GUERRE
PINEROLO - 24 LUGLIO 2014 ORE 21:00
PIAZZA FACTA



"Oramai non ci colpisce più di tanto che muoiano bambini, che si distruggano ospedali, che si abbattano aerei civili, che si muoia attraversando il Mediterraneo.
Oltre 500 i morti a GAZA sotto le bombe e i carri di Israele.
Ma c'è guerra in Ucraina, in Siria, in Irak, in gran parte dell'Africa.
Apprendiamo tutto ciò come fosse una notizia di sport o di qualsiasi altro avvenimento.
Dobbiamo dire BASTA all'assuefazione alle guerre, alle ingiustizie, alla prepotenza dei più forti e alle lobby delle armi in qualunque parte del mondo.
OGNI MORTE CI DIMINUISCE, OGNI UOMO DONNA, BAMBINO UCCISO PESA SULLE NOSTRE COSCIENZE. VOGLIAMO VEDERE I BAMBINI VIVERE E CRESCERE IN PACE NON MACIULLATI DA SCHEGGE DI PIOMBO.
ALP/Cub, ARCI Pinerolo, Emrgency gruppo di Pinerolo.



Per queste ragioni alcune realtà pinerolesi sentono la necessità di una iniziativa che metta al centro il rifiuto della guerra e della prepotenza con una fiaccolata.
Invitiamo tutta la cittadinanza, le istituzione e le associazioni ad aderire e partecipare.

ALP/Cub, ARCI Pinerolo, Emrgency gruppo di Pinerolo

lunedì 21 luglio 2014

Muoiono nel sonno delle coscienze dell'Occidente

Una frase del Talmud recita "Chi salva una vita, salva il mondo intero". 

Cosa accade quando, come in questi giorni, la coscienza dell'intero mondo occidentale, i padroni (predoni) del mondo non hanno parole per salvare le vite degli indifesi? Le stragi di Gaza, del Medio Oriente, dell'Afghanistan, del Mediterraneo. E quante altre!

 Gli Indifesi muoiono nel sonno delle coscienze dell'Occidente

Una vergogna

immagini dei bombardamenti condotti dall'esercito israeliano a Gaza nella giornata di ieri

fonte: Huffington Post

Gaza, Israele intensifica l'offensiva terrestre, sale ancora il bilancio delle vittime e degli sfollati


L'esercito israeliano, nell'ambito della sua offensiva militare nella Striscia di Gaza, ha raso al suolo il Centro per l'infanzia di Um al Nasser "La Terra dei Bambini", struttura finanziata dalla Cooperazione italiana. Lo conferma la ong Vento di Terra che gestisce il progetto nella Striscia di Gaza. Il centro per l'infanzia ospitava un asilo con 130 bambini e un ambulatorio pediatrico. Oltre al Centro, prosegue la nota dell'Ong, è stata demolita la nuova mensa comunitaria, inaugurata solo due mesi fa, che forniva pasti ai bambini e alle famiglie povere del villaggio.
Vento di Terra comunica la distruzione del centro “La Terra dei Bambini”, definito "un’oasi di pace a difesa dei diritti dell’infanzia nel villaggio beduino di Um al Nasser, Striscia di Gaza". Nella comunicazione della ong si legge che "la fanteria e i blindati israeliani hanno occupato il villaggio di Um Al Nasser nella notte del 17 luglio, obbligando l’intera comunità a lasciare le case. Una lunga fila di civili, in prevalenza a piedi, si è diretta sotto un intenso bombardamento verso il campo profughi di Jabalia. Sono ora ospitati principalmente nelle scuole dell’UNRWA: mancano medicinali, cibo, generi di prima necessità e acqua potabile. Questa mattina ci è stata confermata la notizia che l’esercito israeliano ha raso al suolo “La Terra dei Bambini”, struttura finanziata dalla Cooperazione italiana e visitata lo scorso 17 gennaio dalla Presidente della Camera Laura Boldrini. Il centro per l’infanzia ospitava un asilo con 130 bambini e un ambulatorio pediatrico. Oltre al Centro per l’infanzia, che rappresentava un modello di eccellenza in termini di architettura bio climatica e di metodologia educativa, è stata demolita la nuova mensa comunitaria, inaugurata solo due mesi fa, che forniva pasti ai bambini e alle famiglie povere del villaggio".
"Oggi arriva la notizia che la scuola di Um Al Nasser, nella Striscia di Gaza - dove ero stata a gennaio, durante la visita ufficiale in Israele e nei Territori Palestinesi - non c'è più, distrutta dai bombardamenti israeliani" scrive la presidente della Camera, Laura Boldrini, su Facebook. "Era una bella struttura per 100-130 bambini della comunità beduina, realizzata dalla Ong Vento di Terra e da altre sigle della cooperazione italiana. In quelle aule avevo incontrato le insegnanti, che mi avevano parlato dell'importanza del loro lavoro per dare una prospettiva di sviluppo all'infanzia, in una situazione in cui erano precarie persino le forniture di acqua potabile, gas, energia elettrica. E giovani imprenditrici palestinesi mi avevano raccontato della difficoltà di realizzare i loro progetti, soffocate come erano nell'assedio dell'embargo. È doloroso pensare - aggiunge la Boldrini - che tutto sia andato in fumo. E mi viene da chiedermi se, nell'elenco sempre più lungo delle vittime civili, sia entrato anche qualcuno di quei bambini, o di quelle donne con il velo in testa che lavoravano per dare istruzione e speranza. Persino nei momenti in cui solo le armi parlano, le scuole dovrebbero essere lasciate in pace".
Vento di Terra ONG "gestisce il progetto dal suo avvio nel 2011, ed è testimone del fatto non sia mai stata utilizzata per scopi militari e non sia avvenuto alcun contatto tra lo staff e le milizie armate islamiste. La “Terra dei bambini” rappresentava un’oasi a difesa dei diritti dell’infanzia, che l’esercito israeliano, messo al corrente di tutte le fasi del progetto, ha deciso senza alcuna giustificazione di demolire. Un’esperienza unica, in un panorama caratterizzato da decenni di conflitto, occupazione e devastazione è stata messa cinicamente a tacere".
Vento di Terra Ong richiede al Ministero degli Esteri Italiano e alla Unione Europea, alla Conferenza Episcopale Italiana, principali finanziatori del progetto, di "realizzare gli opportuni passi verso il Governo Israeliano perché renda conto di un’azione gravissima che coinvolge, oltre la comunità locale, direttamente il Ministero stesso, l’Unione Europea e la Cooperazione Italiana, che il progetto hanno finanziato e sostenuto in questi anni".

sabato 19 luglio 2014

Palermo. 19 luglio 1992 Via D'Amelio ore 16.58.

Lo scandalo di una strage di Stato

Paolo Borsellino (52 anni) giudice 
 Agostino Catalano (43 anni) assistente-capo Polizia di Stato 
Emanuela Loi ( 24 anni) agente della Polizia di Stato 
Walter Eddie Cosina (31 anni) agente scelto Polizia di Stato 
Traina Claudio (27 anni) agente scelto  Polizia di Stato  
Vincenzo Li Muli   (22 anni) agente  Polizia di Stato

«Paolo mi disse: “Mi ucciderà la mafia ma solo quando altri glielo consentiranno”».  Agnese Piraino Leto, moglie di Paolo Borsellino

PER AMORE




Se ci chiediamo perchè hanno accetto di morire, la risposta la troviamo nelle parole che  lo stesso Paolo Borsellino pronunciò la sera del 23 giugno 1992, a un mese dalla Strage di Capaci, durante la commemorazione dell'eccidio fatta nel cortile di Casa Professa, a Palermo. 
Quella sera Paolo Borsellino ricorda Giovanni Falcone, l'amico fraterno, il compagno di giochi nei cortili della Khalsa di Palermo, l'amico  dinanzi al cui feretro aveva rinnovato il patto di amicizia "per sempre". Paolo Borsellino parla di Giovanni Falcone ma, lo sappiamo, parla anche di se stesso e di coloro che hanno scelto di rimanere accanto a lui per proteggerlo. 
Le parole di Paolo Borsellino:
"(...) Giovanni Falcone lavorava con perfetta coscienza che la forza del male, la mafia, lo avrebbe un giorno ucciso. Francesca Morvillo stava accanto al suo uomo con perfetta coscienza che avrebbe condiviso la sua sorte. Gli uomini della scorta proteggevano Falcone con perfetta coscienza che sarebbero stati partecipi della sua sorte. Non poteva ignorare, e non ignorava, Giovanni Falcone, l’estremo pericolo che egli correva perché troppe vite di suoi compagni di lavoro e di suoi amici sono state stroncate sullo stesso percorso che egli si imponeva. 
Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione, perché mai si è turbato, perché è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui? 
Per amore! 
La sua vita è stata un atto di amore verso questa sua città, verso questa terra che lo ha generato, che tanto non gli piaceva. 
Perché se l’amore è soprattutto ed essenzialmente dare, per lui, e per coloro che gli siamo stati accanto in questa meravigliosa avventura, amore verso Palermo e la sua gente ha avuto e ha il significato di dare a questa terra qualcosa, tutto ciò che era ed è possibile dare delle nostre forze morali, intellettuali e professionali per rendere migliore questa città e la patria a cui essa appartiene.(...)
Sono morti per noi e abbiamo un grosso debito verso di loro e dobbiamo pagarlo gioiosamente, continuando la loro opera; facendo il nostro dovere, rispettando le leggi, anche quelle che ci impongono sacrifici, rifiutando di trarre dal sistema mafioso anche i benefici che potremmo trarre (anche gli aiuti, le raccomandazioni, i posti di lavoro); collaborando con la giustizia, testimoniando i valori in cui crediamo, anche nelle aule di giustizia: accettando in pieno questa gravosa e bellissima eredità. Dimostrando a noi stessi e al mondo che Falcone è vivo."

Anche Paolo Borsellino, Catalano Agostino, Emanuela Loi, Walter Eddie Cosina, Traina Claudio, Vincenzo Li Muli , sono vivi! 
Sono vivi nelle coscienze di coloro che accettano di assumersi responsabilità: di lottare per la Giustizia, di condurre una vita onesta e dignitosa.

venerdì 18 luglio 2014

Rita Borsellino a 22 anni dalla strage: "(...) non vogliamo in via D'Amelio quelle persone che, come diceva proprio Paolo, occupano abusivamente quelle istituzioni"

Sono passati 22 anni dalla strage di Via D'Amelio in cui morirono Paolo Borsellino e i cinque agenti della sua scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano,  Claudio Traina, Walter Eddie Cosina e Vincenzo Li Muli. 
Eppure per questa strage, come per le tanti stragi che hanno insanguinato l'Italia, ancora oggi tanti sono gli interrogativi su esecutori e mandanti.
In tante città italiane sono previste dirette streaming con Via D'Amelio. Anche Torino partecipa all'iniziativa per consentire la partecipazione all'evento anche a coloro che non possono recarsi a Palermo
Salvatore Borsellino: "Da più di vent'anni non c'è verità e giustizia e i magistrati che la cercano, piuttosto di essere appoggiati, vengono ostacolati anche dai più alti gradi delle istituzioni. "
Rita Borsellino "(...) non vogliamo in via D'Amelio quelle persone che, come diceva proprio Paolo, occupano abusivamente quelle istituzioni"



Il comunicato della Agende Rosse

Magistrati coraggiosi si battono per la verità ancora oggi e a loro va tutta la nostra riconoscenza.

Noi il 19 Luglio non vogliamo "commemorare" le vittime della strage perché questo siamo convinti va fatto ogni giorno ispirandoci al loro esempio nelle nostre vite quotidiane.

Noi il 19 Luglio invece saremo in Via D'Amelio per ricordare allo Stato, alle istituzioni e all'Italia intera che vogliamo ancora verità e giustizia per i caduti in nome di questo paese e che Palermo non ha mai dimenticato il loro sacrificio.

Associazioni, singoli e cittadini liberi sono tutti invitati a partecipare: esserci è un dovere morale

Le parole di Salvatore Borsellino, presentando a Palermo le manifestazioni per ricordare le vittime della strage del 19 luglio 1992: "Da più di vent'anni non c'è verità e giustizia e i magistrati che la cercano, piuttosto di essere appoggiati, vengono ostacolati anche dai più alti gradi delle istituzioni. Noi saremo in via D'Amelio per impedire che persone non degne, avvoltoi, vengano a portare corone. Non faremo altra contestazione che sollevare in alto un'agenda rossa e girare le spalle così come abbiamo fatto gli altri anni".  
Le parole di Rita Borsellino, sorella del giudice assassinato: "Con molta amarezza potrei dire che da quel 19 luglio non è cambiato niente ma non sono una pessimista a oltranza. Oggi c'è una consapevolezza che prima non c'era". Lo ha detto Rita Borsellino durante la presentazione delle iniziative in programma in occasione del 22esimo anniversario della strage di via D'Amelio, che cominceranno domani e si concluderanno sabato. "Paolo - ha proseguito - ha insegnato il rispetto delle istituzioni ma, senza generalizzare, non vogliamo in via D'Amelio quelle persone che, come diceva proprio Paolo, occupano abusivamente quelle istituzioni". "Ho avuto grandi momenti di stanchezza e scoraggiamento - ha aggiunto - ma quelli sono proprio i momenti in cui si stringono i denti e si va avanti. Paolo non ha mai mollato, farlo sarebbe tradire lui e la sua famiglia. La fiducia nella giustizia ci deve essere, poi io ho sempre distinto tra magistratura e magistrati".

mercoledì 16 luglio 2014

UNA CATASTROFE SOCIALE.

LIBERA: "I dATI istat SULLA POVERTA' FOTOGRAFANO UNA CATASTROFE SOCIALE.  LA POLITICA ESCA DAI TATTICISMI E SI LASCI GUIDARE DAI BISOGNI DELLE PERSONE".

CI SIAMO STANCATI DI GUARDARE E MOSTRARE FOTOGRAFIE A CHI NON VUOLE DARE RISPOSTE .

E' MALATA LA DEMOCRAZIA COME FORMA DI GOVERNO CHIAMATA A GARANTIRE A TUTTE LE PERSONE UNA VITA LIBERA E DIGNITOSA, SE NON SI VUOLE DARE RISPOSTE, SE NON SI E' CAPACI DI DARE RISPOSTE.

Nota dell'Ufficio di Presidenza di LIBERA

«I dati forniti dall'Istat sulla povertà assoluta e relativa in Italia, dicono che il nostro Paese non solo è malato: lo è gravemente. UN ITALIANO SU DIECI IN POVERTA' ASSOLUTA COIVOLTO QUASI UN MILIONE E MEZZO DI MINORI
È malata la democrazia come forma di governo chiamata a garantire a tutte le persone una vita libera e dignitosa. 
Libertà, dignità, lavoro sono diventati - da diritti - privilegi, beni solo per chi se li può permettere. 
Di fronte alla crescita della sofferenza sociale non possiamo allora stare zitti ma soprattutto non possiamo stare inerti
Questa crisi, prima che economica, è una crisi dell'etica e della politica. 
Nessuno ha la ricetta in tasca.
La politica esca dai tatticismi e dalle spartizioni di potere, riduca le distanze sociali e si lasci guidare dai bisogni delle persone, a partire da quelle più in difficoltà: probabilmente quei terribili dati sulla povertà cominceranno una timida, ma decisa, inversione di tendenza». 


"Miseria Ladra": Rendere illegale la povertà. 

Gruppo Abele e Libera hanno promosso "Miseria Ladra", una  Campagna nazionale contro tutte le forme di povertà. La campagna 'Miseria Ladra" propone dieci punti concreti sui quali unire gli sforzi di tutti per rendere illegale la povertà. 

1. Ricostituire il fondo sociale e il fondo per la non autosufficienza ai livelli del 2008, definiti allora un “punto di partenza” a incrementazione annua successiva;

2. Attuare una moratoria ragionevole rispetto l’immediata esigibilità dei crediti da parte di Equitalia e dal sistema bancario, negoziando modalità differenti di pagamento

3. Onorare velocemente i debiti da parte delle Pubbliche Amministrazioni a partire dai “fornitori” di beni, prestazioni e servizi

4. Programmare una “allocazione diversa delle risorse a saldo invariato” al fine di reperire i fondi per gli interventi di contrasto alle povertà. A titolo di esempio: abolire i CIE che rappresentano un’offesa al diritto e alla dignità delle persone e riconvertire le risorse per l’inserimento e l’integrazione delle persone migranti; tagliare alcune spese militari da utilizzare per il sociale e per la riconversione ecologica delle attività produttive e della filiera energetica; rivedere i progetti di alcune “grandi opere” a carattere molto controverso, utilizzando quelle risorse per risanare il dissesto idrogeologico di molti territori del nostro paese e valorizzare l’agricoltura biologica e sociale

5. Sospendere gli sfratti esecutivi, offrendo nuove opportunità di negoziazione e garanzia per il pagamento del fitto, a protezione del reddito dei piccoli proprietari che sull’acquisto della casa hanno messo i loro risparmi a garanzia di un futuro spesso non coperto da pensioni

6. Rimettere sul mercato il patrimonio immobiliare sfitto, con le dovute mediazioni e tutele per i piccoli proprietari, e garantire un meccanismo più rapido per l'assegnazione dei beni confiscati alle mafie per uso sociale

7. Concedere la residenza presso il Municipio o in un’altra sede comunale a tutte quelle figure che possono essere definite “temporaneamente in difficoltà” quali i richiedenti asilo, le vittime di tratta, le vittime di violenza che, in virtù di tale dispositivo,vedrebbero riconosciuto il diritto di accesso ai servizi sociali e sanitari e al lavoro stesso (senza residenza non viene rilasciata la Carta di Identità, necessaria per stipulare il contratto di lavoro, l'attribuzione del medico di base, l'accesso ai servizi sociali) e potrebbero avere maggiore possibilità di rendere più breve il loro disagio “temporaneo”

8. Erogare il Reddito di Cittadinanza, o eventualmente un altro dispositivo di tutela generalista, come strumento essenziale per le politiche attive del lavoro, così come già avviene nella maggior parte dei paesi europei, per rispondere all'emergenza sociale e contrastare lo sfruttamento del lavoro senza regole e senza prospettive di crescita e di formazione per i lavoratori e le lavoratrici;

9. Mantenere e rendere di nuovo pubblici i servizi basici essenziali e difendere i beni comuni. I servizi basici sono indispensabili al sostegno delle comunità in una fase di grave crisi come quella attuale, così come i beni comuni essenziali alla vita. La privatizzazione di molti servizi e dei beni comuni ha infatti significato un impoverimento soprattutto dei ceti medi e popolari. La ripubblicizzazione dei servizi basici e la difesa dei beni comuni come acqua, sanità, scuola, trasporti, energia e rifiuti, sono obiettivi che rappresentano strumenti concreti di contrasto alla povertà, garantendo pari dignità a quelle categorie sociali che hanno dovuto fare a meno di servizi fondamentali, rendendo più equa la distribuzione della ricchezza.

10. Rinegoziazione del debito. Nell'attuale fase di crisi italiana ed europea, l'impatto del debito pubblico nel bilancio nazionale e sulle politiche di contrasto alla povertà ha un peso enorme. Diventa improrogabile affrontare il tema della rinegoziazione del debito pubblico attraverso un audit pubblico per evitare di creare ricchezza esclusivamente per il pagamento degli interessi sul debito invece che per il sostegno alle persone. Bisogna capire quello che realmente "dobbiamo" e quanto invece è frutto di meccanismi speculativi che hanno reso insostenibile il debito e fanno lievitare gli interessi sul debito rendendo insostenibile socialmente qualsiasi piano di rientro